Mendicanti e superuomini - Страница 51
— L’unità di r-r-riscaldamento si è r-r-rotta.
— L’unità di riscaldamento non si può rompere — ho detto io. Mi sembrava di essere Doug Kane che parlava con Celie. — È a energia-Y.
— N-N-Non l’impianto di circolazione. D-deve avere delle p-p-parti in duragem. — Stava in piedi vicino alla nostra unità, sfregandosi insieme le mani, col volto dello stesso bianco grigiastro di tutta la neve ammassata nelle strade.
Lizzie ha detto all’improvviso: — Sento gridare!
— S-s-stanno bruciando l’a-albergo.
— "Bruciando"? — ha chiesto Annie. — La pietra porosa non brucia!
La dottoressa Turner ha sorriso, lei, uno di quei sorrisi storti da Mulo che dicono che i Vivi stanno appena arrivando a capire quello che i Muli sapevano già. — Ci stanno provando lo stesso. Gli ho detto che questo non eliminerà il disgregatore del duragem e che è molto probabile che qualcuno resti ferito.
— Gli ha detto "questo" — ha esclamato Annie tenendo una mano appoggiata sulla larga anca. — E poi è venuta qui, con una "folla alle calcagna"…
— Nessuno mi sta seguendo. Sono decisamente troppo indaffarati a cercare di contravvenire le leggi della fisica. Inoltre, Annie, sto congelando. Dove altro sarei potuta andare? Il tecnico ha riprogrammato i codici di entrata della cucina e comunque quella sarà di nuovo piena di robot spedizionieri qualora ritornasse quell’imprevedibile aereo.
Annie l’ha guardata e lei ha guardato Annie: io mi sono accorto, io, che c’era qualcosa di storto nel discorso della dottoressa Turner. Non era una preghiera di aiuto, anche se le parole dicevano così. E non stava nemmeno tentando di suonare ragionevole. La dottoressa Turner stava realmente chiedendo: "Dove altro sarei potuta andare? Mi sapete dire un posto che non ho già menzionato?". Solo che non lo stava chiedendo ad Annie. Lo stava chiedendo a me.
E io non avevo intenzione di dirle, io, che finalmente sapevo. Dopo tutto il mio cercare, sapevo dov’era l’Eden.
— Puoi restare qui con noi — ha detto Lizzie e i suoi grandi occhi scuri hanno fissato sua madre. Io ho sentito annodarsi i muscoli della schiena. Eccoci, l’Armag-gedon fra Annie e la dottoressa Turner. Solo che non era il momento. Non ancora. Forse perché Annie aveva paura della parte dove Lizzie si sarebbe schierata.
— D’accordo — ha detto Annie — ma solo perché non posso sopportare, io, di vedere nessuno congelare a morte o venire fatto a pezzi da quei maledetti delinquenti. Ma a me non mi piace per niente.
Come se qualcuno aveva mai pensato che le poteva piacere. Io sono stato bene attento a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Annie ha dato alla dottoressa Turner qualche coperta dal cumulo ammassato sulla parete ovest. Avevamo di tutto, lì, che affollava l’intero spazio: coperte, tute, sedie, nastri, cibo che marciva e non so cos’altro. Mi sono chiesto, io, se non dovevo lasciare il divano alla dottoressa Turner, ma lei ha steso le coperte per terra in una specie di cuccia e io ho pensato che poteva anche essere un’ospite ma aveva anche trent’anni meno di me. Oppure venti o quaranta, con i Muli non si poteva mai dire per certo.
Siamo tornati tutti a dormire, in qualche modo, ma le grida di fuori sono andate avanti per parecchio tempo. La mattina dopo l’Albergo Rappresentante di Stato Anita Clara Taguchi era distrutto. Ancora in piedi, perché la dottoressa Turner aveva ragione e la pietra spugnosa non bruciava, ma le porte e le finestre erano state strappate dai cardini, i mobili erano tutti rotti e perfino il terminale era un ammasso di pezzi di ferraglia buttati per la strada. Jack Sawicki sembrava preoccupato al riguardo. Adesso tutto quello che aveva a disposizione per parlare con Albany era il terminale del caffè. Inoltre quegli aggeggi erano costosi. La Rappresentante di Stato Taguchi doveva essere infuriata come un diavolo.
La neve veniva soffiata nelle finestre dell’albergo e scivolava sul pavimento: si poteva giurare che quel posto era deserto da anni per l’aspetto che aveva. In un certo senso quella vista mi ha stretto il cuore. Stavamo perdendo sempre di più.
Quel pomeriggio l’aereo non è arrivato e, per l’ora di cena del giorno dopo, il caffè era senza cibo.
C’è un posto a monte del fiume, più o meno a settecento metri dal paese, dove vanno i cervi. Quando avevamo un robot di guardia, quello buttava fuori pillole per i cervi in inverno. Quelle pillole avevano dentro una specie di medicina così che i cervi non potevano partorire più piccoli di quanti i boschi non ne potessero accogliere. Il robot di guardia non è mai stato sostituito da prima della storia dei procioni con la rabbia, in estate. I cervi, però, arrivano ancora nella radura. Fanno semplicemente quello che hanno sempre fatto, perché non sanno comportarsi altrimenti.
O forse sì. In quel punto il fiume scorre così impetuoso che non gela mai completamente, a meno che la temperatura non scenda a parecchi gradi sotto zero. La neve scendeva a folate attraverso la radura e si ammassava contro la collina boschiva. Si potevano avvistare due o tre cervi, di solito, senza dovere aspettare un granché.
Quando sono andato lì, io, con il vecchio fucile di Doug Kane, qualcun altro ci era arrivato prima di me. La neve era insanguinata e una carcassa mutilata era stesa vicino al corso d’acqua. La maggior parte della carne era stata rovinata da qualcuno troppo pigro o troppo stupido da macellarla nel modo giusto. Quei bastardi non si erano nemmeno presi la briga di trascinar via la carcassa dall’acqua.
Ho camminato ancora per un po’. Stava nevicando, ma non forte. La neve mi scricchiolava sotto ai piedi e il fiato mi fumava. Mi faceva male la schiena e mi dolevano le ginocchia e non ho nemmeno cercato, io, di camminare senza fare rumore. "Non andare da solo" aveva detto Annie, ma io non volevo che Annie lasciava Lizzie per conto suo. E di certo non avevo intenzione di portarmi dietro la dottoressa Turner. Si era trasferita da noi ed era una cosa buona perché i Muli hanno un sacco di cose che manco ti immagini finché non ne hai bisogno, come la medicina per Lizzie l’estate scorsa. La dottoressa Turner però era una donna di città e rovinava sempre il gioco, facendo un gran baccano fra i cespugli come un elefante. Oggi avevo bisogno di uccidere qualcosa. Avevamo bisogno di carne, noi.
Nel giro di una settimana, tutto il cibo ammassato era stato mangiato. In una pidocchiosissima settimana.
Non ne arrivava più, né per ferrovia, né per aereo, né per mezzi a gravità, da Albany. La gente ha fatto irruzione nel caffè, nella cucina dove Annie era solita cucinare budini di mele per la catena del cibo, ma lì non c’era rimasto più niente.
Mi sono spinto ancora più a monte. Quando ero un ragazzino, io, mi piaceva moltissimo andare nei boschi in inverno. Ma a quei tempi non ero fuori di cranio dal terrore. Allora non ero un vecchio pazzo con la schiena dolente e che non riesce a pensare ad altro che ai grandi occhi scuri di Lizzie affamati. Non riesco a sopportarlo, io. Mai.
Lizzie. Affamata…
Quando ho lasciato il paese, con il fucile sotto al cappotto, la gente stava correndo al caffè. Stava succedendo qualcosa ma non sapevo cosa. Non volevo nemmeno saperlo. Io volevo solo evitare che Lizzie moriva di fame.
Mi venivano in mente solo due modi per farlo: uno era cacciare nei boschi alla ricerca di cibo, l’altro era portare Lizzie e Annie nell’Eden. Io l’avevo trovato appena prima che la ferrovia a gravità si rompeva l’ultima volta. Avevo trovato un’altra volta la ragazzina dalla testa grossa nei boschi e l’avevo seguita e lei mi aveva permesso di seguirla. Avevo visto aprirsi una porta nella montagna dove non poteva esserci nessuna porta, e lei entrare e la porta richiudersi come se non c’era mai stata fin dal principio. Appena prima di chiudersi, però, la ragazza Insonne si era rivolta direttamente a me: — Non porti qui nessun altro, signor Washington a meno che non sia assolutamente necessario. Non siamo ancora pronti per voi.