Mendicanti e superuomini - Страница 39
Qualcuno corse verso Leisha provenendo dall’altra parte dell’aereo. Il pilota? Non lo era. L’uomo placcò Leisha e lei mi cadde sopra. Ancora una volta venni spinto con la faccia nel fango. Udii quindi un debole puff! Quando liberai gli occhi dal fango, vidi che l’aria attorno a noi tre scintillava. Un campo di forza. Energia-Y. Quanto era resistente? Poteva reggere a…
L’aereo esplose.
Ricaddi nella melma, bloccato da Leisha. Il mondo tremò e io vidi una piccola e nera biscia d’acqua, terrorizzata per l’intrusione nella sua palude, sfrecciare verso di me e mordermi su una guancia. La biscia cominciò come un sottile filo, divenne quindi un movimento ravvicinato indistinto e poi il mondo scomparve nel nero delle sue scaglie luccicanti e io non seppi se il filo avrebbe retto o no.
Era un agente dell’ECGS. Quando rinvenni, ce n’erano altri tre che mi stavano attorno in cerchio, come l’anello di dottori attorno al mio letto decenni addietro, quando ero rimasto menomato. Giacevo sulla schiena su un tratto di terreno relativamente asciutto e spugnoso al margine del basso laghetto. Leisha era seduta a breve distanza con la schiena appoggiata a un albero di anona, con la testa china sulle ginocchia. Dall’altra parte della palude, l’aereo di Kevin Baker bruciava e il fumo si alzava in nuvole gonfie.
— Leisha? — mi sentii gracchiare. La mia voce mi appariva aliena come tutto il resto. Soltanto che non c’era proprio niente di alieno. Riconobbi la pesantezza dell’aria afosa, il ronzare degli insetti, le pozze melmose e le orchidee fantasma bianche come la cera. E sopra tutto le barbe grige e gocciolanti del muschio epifita. Ero stato allevato nell’interno della Louisiana. Questa doveva essere la Georgia, ma gran parte del terreno paludoso è esattamente identico. Ero stato io a diventare l’alieno.
— La signorina Camden si riprenderà in un momento — rispose un agente. — Probabilmente è soltanto un forte colpo. Sta arrivando aiuto. Noi siamo dell’ECGS, signor Arlen. Non si muova… ha una gamba rotta.
Ancora. Questa volta però non provavo alcun dolore. Non erano rimasti nervi per poter provare dolore. Sollevai leggermente il mento avvertendo la tensione nei muscoli dello stomaco. La gamba sinistra era piegata a una angolazione acuta, innaturale. Abbassai il mento.
Le forme che mi strisciavano nella mente erano grige e indistinte esternamente, spezzate all’interno. Avevano una voce. "Non riesci a fare niente bene, vero, ragazzo? Chi ti credi di essere, un maledetto Mulo?"
Dissi a voce alta come un bambinetto: — Una biscia mi ha morso sulla guancia.
Un secondo uomo si chinò per esaminarmi il volto. Era ricoperto di fango. Disse, ma non bruscamente: — È in arrivo un dottore. Non la muoveremo da qui finché non sarà arrivato. Resti fermo e cerchi di non pensare.
Non pensare. Non sognare. Io però ero il Sognatore Lucido. Lo ero. Dovevo esserlo.
La voce impastata di Leisha disse da dietro le mie spalle: — Siamo in arresto? Con quali accuse?
— No, ovviamente no, signorina Camden. Siamo felici di essere stati in grado di aiutarvi — disse l’uomo che mi aveva scrutato la guancia. Gli altri due agenti restavano immobili con espressioni impassibili, anche se vidi uno dei due strizzare gli occhi. Si può dimostrare disprezzo strizzando gli occhi. Leisha e io eravamo in combutta e sostenevamo Huevos Verdes. Manipolatori genetici. Distruttori del genoma umano.
Vidi Carmela Clemente-Rice in piedi accanto alla grata nella mia mente, una forma nitida e fresca che vibrava dolcemente.
— Voi "siete" dell’Ente governativo per il Controllo degli Standard Genetici — disse Leisha. — Non si trattava di una domanda. Era un avvocato: aspettava una risposta.
— Sì, signora. Agente Thackeray.
— Io e il signor Arlen vi siamo grati per il vostro aiuto. Ma con quale diritto…
Non scoprii mai quale fosse la questione legale che Leisha aveva intenzione di discutere.
Da dietro gli alberi, attraverso rampicanti aggrovigliati, dallo stesso terreno paludoso, eruppero uomini vestiti di stracci. Non c’erano e un istante dopo eccoli lì: questa fu l’impressione. Strillarono, urlarono e schiamazzarono. L’agente Thackeray e i suoi due sprezzanti sottoposti non ebbero nemmeno il tempo di estrarre le pistole. Giacendo sulla schiena, vidi gli straccioni di scorcio mentre sollevavano le pistole e sparavano in un modo che sembrava, ma non poteva essere, a bruciapelo. Thackeray e i due agenti crollarono a terra, i corpi che si contorcevano. Sentii qualcuno dire: — Diavolo, sì, lei è un abominio, questa qui è Leisha Camden — e una pistola sparò ancora, una volta, due volte. La prima volta, Leisha gridò.
Io sollevai di scatto la testa verso di lei. Era ancora seduta con la schiena appoggiata contro l’albero di anona, ma adesso la parte superiore del corpo era china in avanti, con grazia, come se si fosse addormentata. Aveva due punti rossi sulla fronte, uno sotto l’altro e quello superiore macchiava una ciocca di capelli biondo chiari che era in qualche modo sfuggita al fango. Udii un lungo e profondo lamento e pensai: "È viva!". Finché non mi resi conto che il lamento era il mio.
L’uomo che aveva detto "Diavolo, sì" si chinò su di me. Il suo alito mi soffiò in faccia: puzzava di menta e tabacco. — Non si preoccupi, signor Arlen. Noi sappiamo che lei non è un abominio contro natura. È al sicuro come a casa.
— Jimmy — disse tagliente una voce di donna: — Eccoli che arrivano!
— Be’, Abigail, sei pronta per loro, no? — disse Jimmy in tono ragionevole. Cercai di strisciare verso Leisha. Era morta.
Leisha era morta.
Un aereo ronzò sopra le nostre teste. La squadra medica. Avrebbero potuto aiutare Leisha. Ma Leisha era morta. Ma Leisha era un’Insonne. Gli Insonni non morivano. Vivevano, continuavano a vivere, Kevin Baker aveva 110 anni. Leisha non poteva essere "morta"…
La donna che si chiamava Abigail balzò giù dal terrapieno verso la palude. Indossava stivaloni alti fino alla vita, pantaloni e camicia rattoppati e portava un lanciarazzi montato sulla spalla, vecchio di progettazione, ma scintillante per olio di gomito e lucidante. Abigail puntò, sparò e fece esplodere l’aereo in un secondo falò nella palude.
— Okay — disse allegramente Jimmy. — Ben fatto. Venite, andiamocene via, saranno qui in un batter d’occhio. Signor Arlen, mi dispiace che per lei sarà un viaggio scomodo, signore.
— No! Non posso lasciare Leisha! — non sapevo quello che stavo dicendo.
— Certo che può — disse Jimmy. — Non potrà diventare più morta di così. E lei non è comunque uno della sua razza. Adesso sta con James Francis Marion Hubbley. Campbell? Dove sei? Portalo in spalla.
— No! Leisha! Leisha!
— Cerchi di avere un po’ di dignità, figliolo. Non è un moccioso che piagnucola dietro alla mamma.
Un omone alto due metri mi sollevò e mi gettò sopra una spalla. Non provavo dolore alla gamba, ma non appena il mio corpo colpì il suo, una fiammata rossa mi sfrecciò lungo la spina dorsale fino al collo e gridai. Il fuoco mi riempì la testa e l’ultima immagine che ebbi di Leisha Camden fu quella del suo corpo accasciato con grazia contro l’albero di anona, avvolto nel fuoco rosso della mia mente, che sembrava si fosse appena addormentata serenamente.
Mi risvegliai in una stanzetta priva di finestre con pareti lisce. Troppo lisce, non una singola nano-deviazione dal liscio, dal perpendicolare, dall’immacolato. Non mi resi conto, allora, di averlo notato. Avevo la mente stipata di cordoglio che affiorava in spruzzi, in geyser, in fiumi di lava incandescente dello stesso colore dei due punti sulla fronte di Leisha.
Lei era davvero morta. Lo era davvero.
Chiusi gli occhi. La lava incandescente era ancora lì. Picchiai i pugni per terra e maledissi il mio corpo inutile. Se mi fossi potuto muovere per farle da scudo, se avessi potuto frappormi fra lei e gli straccioni assassini…