Mendicanti e superuomini - Страница 38

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— Come fa Leisha a sapere che io sto per andare a Huevos Verdes? Per quello che ne sa lei, io sono in tournée!

— Non so — rispose Kevin, il che poteva anche essere vero. Forse Leisha aveva piazzato delle spie elettroniche nella mia stanza d’albergo oppure al concerto di Seattle. Era comunque difficile immaginare che lei e Kevin potessero averlo fatto senza che Huevos Verdes lo venisse a sapere. Forse i Super conoscevano e tolleravano il sistema informativo di Leisha. Forse Leisha mi conosceva così bene da avere immaginato quello che stavo provando. Forse aveva un qualche tipo di programma sulle probabilità che prediceva che cosa io avrei fatto, che cosa avrebbe fatto qualunque Normale. Non si può mai essere certi di quello che sanno.

— E se dico no a Leisha? — chiesi.

— Allora niente aereo — rispose Kevin. Non incrociò il mio sguardo. Mi accorsi che lui riteneva di doverle questo, per vecchi debiti, cose che erano accadute prima ancora che io fossi nato. Kevin non avrebbe cambiato idea.

Prima di Huevos Verdes, l’aereo di fermò ad Atlanta per scaricare qualcosa di molto segreto e industriale a cui io non ero affatto interessato. Prima ancora, era atterrato a Chicago per prendere a bordo Leisha. Non c’erano giornalisti. Gli agenti dell’ECGS dovevano essere presenti, ovviamente, da qualche parte, ma io non li vidi. Leisha salì a bordo con una cartella da avvocato e una ventiquattrore verde, con i capelli dorati che svolazzavano al vento teso del Lago Michigan. Indossava pantaloni bianchi, sandali e una sottile camicetta gialla. Fissai dritto davanti a me.

— Devo assolutamente venire con te, Drew — disse Leisha senza accennare minimamente a scusarsi. Era la sua voce diretta, ragionevole. Mi fece immediatamente sentire di nuovo un bambino che veniva rimproverato per essere stato sbattuto fuori dalle costose scuole per Muli a cui lei mi aveva inviato. Scuole che nessun Vivo avrebbe mai potuto superare, quanto meno era ciò che mi ero detto ai tempi. — Anch’io voglio bene a Miranda, sai. Devo assolutamente sapere che cosa state progettando tu, lei e gli altri Super. Perché se fosse quello che penso io…

Una sfumatura di rabbia le era serpeggiata nella voce. Leisha si sentiva autorizzata ad arrabbiarsi per il solo fatto di essere stata esclusa dalla conoscenza dei fatti. Non le risposi.

Miri mi aveva detto una volta che esistevano solamente quattro domande importanti che si potevano porre su qualsiasi essere umano: come riempie il proprio tempo? Che sensazioni ha riguardo al modo in cui riempie il proprio tempo? Che cosa ama? Come reagisce rispetto a coloro che ritiene inferiori oppure superiori?

— Se fai sentire le persone inferiori, anche non intenzionalmente — aveva detto con un intenso sguardo negli occhi scuri — loro si sentiranno a disagio in tua presenza. In questa situazione, alcune persone attaccheranno. Alcune cercheranno di ridicolizzarti per "ridurre la tua dimensione". Alcune tuttavia ti ammireranno e impareranno da te. Se tu fai sentire le persone superiori, alcune reagiranno licenziandoti. Alcune eserciteranno il loro potere in modo maggiore o minore. Alcune, tuttavia, si sentiranno portate a proteggere e aiutare. Tutto questo si applica ad appartenenti a una piccola loggia così come a un gruppo di governi.

Mi ero chiesto come potesse sapere qualcosa sulle piccole logge. Ammirandola e volendo imparare, tuttavia, non avevo detto nulla.

— Voglio solamente proteggere te e Miranda, Drew — disse Leisha — e aiutarvi per quello che posso.

Guardai fuori dal finestrino dell’aereo la luce del sole che si rifletteva, accecante, sulle ali metalliche, finché le forme dietro alle mie palpebre cancellarono quelle nella mia mente.

L’aereo, che era stato così accuratamente controllato contro un’eventuale contaminazione da disgregatore di duragem a Seattle, doveva essersi contaminato ad Atlanta. Cadde sopra la campagna della Georgia settentrionale.

Fu di nuovo tutto come alla KingDome eccetto che questo pilota non pregò, maledisse o gemette e noi stavamo volando a cinquemila e seicento metri di altitudine. Il cielo era di un azzurro abbacinante con nuvole sottostanti che impedivano qualsiasi veduta del terreno. L’aereo sbandò sulla sinistra, appena un pochino, e io vidi il colore della pelle sul collo del pilota cambiare da un bronzo chiaro a un marrone a chiazze. Leisha sollevò lo sguardo dalla propria valigetta. A quel punto l’aereo si raddrizzò e io riuscii a sentire la mente, che si era serrata in una forma dura e bloccata simile a una stipsi, aprirsi di nuovo.

L’istante dopo, tuttavia, l’aereo sobbalzò ancora una volta e cominciò a procedere a scossoni. Il pilota inserì nella consolle ordini vocali e urgenti, digitando simultaneamente comandi manuali. L’aereo scese in picchiata.

Il pilota lo fece risollevare così duramente che venni sbattuto contro Leisha. I suoi capelli chiari mi riempirono la bocca. La valigetta rotolò in avanti cozzando contro lo schienale del sedile anteriore. La valigetta disse: "Per ottenere la massima efficienza, vi preghiamo di mantenere stabile questa unità". Un lungo e sottile filamento mi si avvolse nella mente.

Leisha afferrò lo schienale del sedile anteriore e mi liberò, — Drew! Stai bene?

L’aereo cadde. Il pilota vi restò incollato, trasmettendo ordini con una controllata voce monotona da macchina, manipolando i comandi. La valigetta di Leisha disse: "Questa unità si sta disattivando" con una voce chiara e squillante da soprano esercitato. La mano di Leisha avanzò a tastoni per controllare le mie cinture di sicurezza. — Drew!

— Sto bene — dissi, pensando. "Questo non va affatto bene." Il filo cominciò a svolgersi, tendendosi sempre di più.

Ci tuffammo attraverso le nuvole. Si udì uno stridio acuto nell’aria risuonare quasi sopra di noi, come se stesse provenendo da una macchina completamente differente. L’aereo picchiò quindi di piatto il ventre sul terreno paludoso. Sentii il colpo nei denti, nelle ossa. Leisha, scagliata ancora una volta contro di me disse qualcosa a voce bassissima, una singola parola: sarebbe potuta essere "Papà".

Nell’istante in cui l’aereo si schiantò al suolo, i portelloni si sollevarono. Non poteva essere tuttavia proprio nello stesso secondo, pensai successivamente, perché nessuno avrebbe progettato un equipaggiamento da schianto in quel modo. Sembrò fosse passato però solamente un secondo quando i portelloni si alzarono e le cinture di sicurezza dei passeggeri si sganciarono. Leisha mi buttò fuori dall’aereo e nello stesso momento io colsi l’acre odore del fumo.

Caddi sul ventre nei venti centimetri di acqua che ricoprivano il terreno viscido. Leisha si tuffò di fianco a me, cadendo sulle ginocchia. Senza la carrozzella mi sembrava di avere le convulsioni, un pesce disperato che cercava di tenersi fuori dall’acqua appoggiandosi sui gomiti. Strisciai in avanti, procedendo con le braccia attraverso la melma, lontano dall’aereo e trascinandomi dietro le gambe inutilizzabili.

Leisha barcollò in piedi e cercò di sollevarmi. — No, scappa! — le gridai come se il fumo che spiraleggiava dall’aereo bloccasse il rumore ma non la vista. — Non senza di te — disse lei. Riuscivo ad avvertire la presenza dell’aereo alle mie spalle, una bomba. Gridai: — Riesco ad andare più veloce per cónto mio! — Forse era vero.

Lei continuò a tirarmi il corpo, anche se ero decisamente troppo pesante per lei. Il fumo si addensò. Non sentii il pilota scendere, era rimasto ferito? Il palmo della mano sinistra mi scivolò sul fango e caddi faccia a terra dentro di esso. Freneticamente, cercai di riappoggiarmi sulle mani e di trascinarmi in avanti. — Corri! — gridai ancora una volta a Leisha che non voleva andarsene. Senza speranza, senza speranza. Non era forte abbastanza da portarmi e l’aereo stava per esplodere.

Il filo si spezzò. La grata nella mia mente, come a Seattle, scomparve.

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