Mendicanti e superuomini - Страница 30
Quando Jonathan stava per andarsene gli dissi brutalmente: — Avrebbero dovuto mandare Nick. Non te. Nick non si preoccupa di nasconderlo.
Jonathan mi guardò fisso. Per un minuto non disse nulla, poi sorrise stancamente. — Lo so. Ma Nick aveva da fare.
— Quando potrò vedere Miranda? Ha già lasciato Washington diretta a East Oleanta?
— Non so, Drew — rispose lui e le forme nella mia mente esplosero, macchiando di rosso la grata.
— Non sai se se n’è andata o non sai quando la potrò vedere? Perché no, Jon? Perché adesso sono infetto? Perché non sai che cosa potrebbe avermi fatto Carmela Clemente-Rice quando mi ha appoggiato le mani sulle spalle o quando io le ho stretto la mano? O perché non puoi controllare quello che sto realmente pensando del progetto?
Jonathan disse tranquillamente: — Avevo avuto l’impressione che avessi accettato di non vedere Miri. E senza grande rammarico.
Questo mi bloccò.
Jonathan proseguì: — Hai un ruolo importante, Drew. Abbiamo bisogno di te. Il computer proietta una curva che si alza a picco nel generale disfacimento sociale dovuta alla inaspettata situazione del duragem. Dobbiamo accelerare il progetto. Le equazioni di Kevorkel. La regressione dei mitocondri. L’ingegneria urbana DiLazial.
Fu lì che terminò la mia rabbia. In una manciata di parole a disposizione dei Super-Insonni. Non capivo le parole, non capivo come si combinassero, e non capivo perché mi venissero dette. Non potevo rispondere e quindi rimasi fermo lì, muto e con lo sguardo annebbiato per la mancanza di sonno, mentre Jonathan se ne andava tranquillamente.
Dovevo assolutamente dormire. Avevo il concerto fra meno di cinque ore. Mi rotolai sul letto ancora vestito e cercai di prendere sonno.
Durante il tragitto verso la KingDome di Seattle, l’aeromobile si guastò.
Avevamo lasciato l’enclave e ci trovavamo sopra la città dei Vivi che, dall’alto, assomigliava a una quantità di piccole cittadine di Vivi, organizzate in quartieri che ruotavano attorno a caffè, depositi ed edifici di logge. La KingDome Senatore Gilbert Tory Bridewell aveva vent’anni: qualcuno mi aveva detto che era stata chiamata così in ricordo di qualche luogo storico. Si trovava ben al di fuori dell’enclave, ovviamente, un immenso emisfero in pietra spugnosa con una piattaforma di atterraggio schermata che ormai non avremmo più raggiunto.
L’aeromobile si impennò bruscamente e sbandò a sinistra. Un transatlantico che rollava, una depressione tossica che si gonfiava in nauseanti bolle rosa. Mi si rivoltò lo stomaco.
— Gesù Cristo — disse il pilota e cominciò a digitare codici di sovrapposizione. Non sapevo quanto potesse effettivamente fare: gli aeromobili sono robo-macchinari. Forse però lui lo sapeva. Era un Mulo.
L’aeromobile rollò e io caddi contro la portiera sinistra. La carrozzella, piegata in posizione da viaggio, mi sbatté contro. Poi si impennò ancora e io pensai: "Sto per morire".
Forme calde e rosso sangue mi riempirono la mente. La grata scomparve.
— Cristo, Cristo, Cristo — disse il pilota digitando freneticamente. L’aeromobile si impennò ancora, quindi si stabilizzò. Chiusi gli occhi. La grata nella mia mente era sparita. "Non era lì."
— Bene bene bene — disse il pilota con un tono di voce differente e l’aeromobile si adagiò sobbalzando sulla piattaforma di atterraggio.
Restammo lì, sani e salvi, mentre alcune persone correvano verso di noi, arrivando dalla KingDome. La grata mi riapparve nella mente. Era scomparsa quando avevo pensato di stare per morire e adesso era tornata, ancora saldamente chiusa attorno a quello che vi era nascosto dentro, qualsiasi cosa fosse.
— È stata la pidocchiosa unità gravitazionale — disse il pilota. Si girò sul sedile per fissarmi direttamente negli occhi. — Tagliano i costi dei materiali. Tagliano i costi dei robo-collaudi. Tagliano i costi della manutenzione perché quelle maledette robo-unità si rompono. Tutta la concessionaria sta andando a rotoli. Due schianti in California la settimana scorsa e la stampa è stata pagata per mantenere il silenzio. Non guiderò mai più uno di questi trabiccoli. Mi ha sentito? Mai più. — Il tutto detto con voce bassa e lamentosa.
Nella mia mente lui era una forma ripiegata, nera e schiacciata davanti alla grata color porpora.
— Signor Arlen! — gridò una donna, spalancando la portiera dell’aeromobile. — State tutti bene lì dentro?
Il suo accento del sud era forte. Sallie Edith Gardiner, congressista cadetta dello Stato di Washington, che stava pagando questo concerto per i suoi elettori Vivi. Perché una dello Stato di Washington suonava come una del Mississippi?
— Bene — dissi io. — Nessun danno.
— Be’, è semplicemente scioccante, ecco cos’è. Siamo veramente arrivati a tanto? Non riusciamo più nemmeno a fare un aeromobile decente? Vuole posporre di un attimo il concerto?
— No, no, sto bene — risposi. L’accento non era del Mississippi, dopotutto: era un falso Mississippi. Lei rappresentava nella mia mente tutta una serie di cerchi di lustrini dorati. Pensai improvvisamente a Carmela Clemente-Rice, pallidi e nitidi ovali.
Perché la grata che avevo nella mente era scomparsa quando avevo creduto di stare per morire?
— Be’, la verità è, signor Arlen — disse la Congressista Gardiner, mordicchiandosi il perfetto labbro inferiore — che un piccolo ritardo potrebbe essere comunque una buona idea. C’è stato un problemino con la ferrovia a gravità in arrivo da Seattle Sud. E un altro problemuccio con il sistema di robot della sicurezza. Abbiamo dei tecnici che se ne stanno occupando ora, naturalmente. Quindi se vuole venire da questa parte andremo in un posto dove lei potrà aspettare…
— Il mio sistema è stato installato sul palco ieri — dissi — se non ne può garantire la sicurezza…
— Oh, ma "certo" che possiamo! — esclamò lei e mi accorsi che stava mentendo. Il pilota dell’aeromobile scese e si appoggiò contro la fiancata, bofonchiando sottovoce. La sua implorante preghiera si era trasformata finalmente in rabbia. La Congressista Gardiner gli lanciò un’occhiata che avrebbe fatto marcire la sintoplastica. Lei non aveva chiesto se lui fosse rimasto ferito. Era un tecnico.
— La sua magnifica strumentazione starà "benissimo" — disse la Congressista Gardiner. — E non vediamo davvero l’ora di assistere alla sua rappresentazione. Venga da questa parte, la prego.
Azionai la carrozzella per seguirla. Lei non avrebbe visto la rappresentazione. Se ne sarebbe andata appena dopo avere presentato me e riempito completamente le telecamere. I Muli se ne andavano sempre a quel punto.
Ma non andò così.
Restai seduto sulla carrozzella in un’anticamera della KingDome per due ore. Avrei potuto dormire. La gente andava e veniva e tutti mi dicevano che ogni cosa andava benone. La grata che avevo nella mente serpeggiava in lunghe e lente ondulazioni. Alla fine entrò la congressista.
— Signor Arlen, temo che ci sia una sgradevole complicazione. C’è appena stato un incidente proprio "terribile".
— Un incidente?
— È deragliato un treno a gravità che arrivava da Portland. Ci sono parecchi morti. La folla ha sentito la notizia ed è sconvolta. Naturalmente. — La voce della donna suonava sconvolta, ma il suo sguardo era carico di risentimento. Il primo grande evento che aveva sponsorizzato da quando era stata eletta, e un bel po’ di Vivi sconsiderati doveva andare a morire e rovinare tutto. — Andremo comunque avanti con il concerto, sempre che lei non abbia nulla da obbiettare. La presenterò fra circa cinque minuti.
— Cerchi di trascinare un po’ meno le vocali — le dissi. — Suonerebbe almeno un po’ più autentico.
L’avevo sottovalutata. Il suo sorriso non ondeggiò. — Allora, cinque minuti?
— Come vuole lei. — Adesso la grata nella mia mente stava tremando come se fosse preda di un forte vento.