Mendicanti di Spagna - Страница 16

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Leisha appoggiò la testa fra le ginocchia. La domanda stava aperta come un baratro davanti a lei, ma non cercò di scantonare.

— Non so. So solo che lo facciamo.

— Perché?

La ragazza non rispose. Un istante dopo, lo fece Tony per lei. La sfida intellettuale era sparita dalla sua voce. Disse, in tono quasi tenero: — Vieni a vedere in primavera il luogo per il Rifugio. Per allora gli edifici saranno in costruzione.

— No — rispose Leisha.

— Mi piacerebbe che lo facessi.

— No. Ritirarsi armati non è la strada giusta.

Tony disse: — I mendicanti stanno diventando sempre più pericolosi, Leisha, con la crescita della ricchezza degli Insonni. E non parlo solo di soldi.

— Tony… — iniziò lei, e poi si interruppe. Non riusciva a pensare a cosa dire.

— Non camminare per molle strade armata solo del ricordo di Kenzo Yagai.

In marzo, un marzo freddissimo con il vento che sferzava il fiume Charles, Richard Keller giunse a Cambridge. Leisha non lo vedeva da tre anni. Non le aveva inviato alcun messaggio tramite la rete del Gruppo per comunicarle il suo arrivo. Lei si stava affrettando verso il vialetto che conduceva al suo appartamento cittadino, avvolta fino agli occhi in una sciarpa di lana rossa per proteggersi dal freddo, e lo trovò lì a bloccare la porta. Alle spalle di Leisha, la guardia del corpo si irrigidì.

— Richard! Bruce, è tutto a posto, è un vecchio amico.

— Salve, Leisha.

Era appesantito, aveva un aspetto più solido, le spalle più larghe di quanto lei non ricordasse. Il volto, tuttavia, era quello di Richard, più vecchio ma immutato: sopracciglia scure e folte, capelli scuri e ribelli. Si era fatto crescere la barba.

— Sei bellissima — le disse.

Una volta entrati, la ragazza gli offrì una tazza di caffè. — Sei qui per affari? — Leisha aveva saputo dalla rete del Gruppo che lui aveva terminato il master e aveva eseguito un lavoro imponente di biologia marina nei Caraibi, ma che lo aveva lasciato un anno prima ed era scomparso dalla rete.

— No. Gita di piacere. — Sorrise improvvisamente, quel vecchio sorriso che gli apriva i lineamenti scuri. — Me ne sono dimenticato per lungo tempo. Appagamento, sì. Siamo tutti bravissimi nell’appagamento che deriva dal lavoro intenso. Ma il piacere? Gli sfizi? I capricci? Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa di sciocco, Leisha?

Lei gli sorrise. — Ho mangiato zucchero filato sotto la doccia.

— Davvero? Perché?

— Per vedere se si sarebbe sciolto in appiccicosi disegni rosa.

— Lo ha fatto?

— Sì. Ne ha fatti di deliziosi.

— Ed è stata l’ultima cosa sciocca che hai fatto? Quando è successo?

— L’estate scorsa — rispose Leisha e si mise a ridere.

— Be’, la mia è più recente. La sto facendo adesso. Mi trovo qui a Boston senza altro motivo oltre lo spontaneo piacere di rivederti.

Leisha smise di ridere. — È un tono un po’ intenso per un piacere spontaneo, Richard.

— Già — continuò lui, sempre intensamente. Lei riprese a ridere. Lui no.

— Sono stato in India, Leisha. Anche in Cina e in Africa. Soprattutto per pensare. Per osservare. Inizialmente ho viaggiato come un Dormiente, senza attirare l’attenzione. Poi mi sono messo in marcia per incontrare gli Insonni di India e Cina. Ce n’è qualcuno, sai, i cui genitori sono stati disposti a venire fin qui per l’operazione. Nel complesso vengono accettati e lasciati in pace. Ho cercato di comprendere perché paesi disperatamente poveri, quanto meno secondo i nostri standard — laggiù l’energia-Y è disponibile fondamentalmente solo nelle grandi città — non hanno difficoltà nell’accettare la superiorità degli Insonni mentre gli americani, che godono di una prosperità maggiore rispetto a qualunque altro momento nella storia, continuano ad accumulare risentimento.

Leisha disse: — Sei riuscito a comprenderlo?

— No. Ma ho capito qualcos’altro, osservando tutte quelle comunità, villaggi e kampong. Noi siamo eccessivamente individualisti.

Leisha venne pervasa dal disappunto. Vide il volto di suo padre: "L’eccellenza è ciò che conta, Leisha. L’eccellenza sostenuta dallo sforzo individuale". La ragazza allungò la mano per prendere la tazza di Richard. — Vuoi dell’altro caffè?

Lui le bloccò il polso e la fissò in volto, — Non fraintendermi, Leisha. Non sto parlando di lavoro, Noi siamo eccessivamente individualisti per quanto riguarda il resto della nostra vita. Troppo emotivamente razionali. Troppo soli. L’isolamento uccide più del libero flusso delle idee. Uccide la gioia.

Non le lasciò andare il polso. Leisha lo fissò negli occhi, in profondità che non aveva mai scorto prima di allora. Aveva la sensazione di guardare nel pozzo di una miniera, che dava le vertigini e terrorizzava, sapendo che sul fondo poteva trovarsi oro oppure oscurità. O tutt’e due.

Richard le disse a voce bassa. — Stewart?

— È finita da parecchio. Una storia da studenti. — Stentò a riconoscere la voce come propria.

— Kevin?

— No, mai… siamo solamente amici.

— Non ne ero sicuro. Qualcun altro?

— No.

Le lasciò il polso. Leisha lo scrutò timidamente. Lui si mise improvvisamente a ridere. — Gioia, Leisha. — Un’eco risuonò nella sua mente ma lei non riuscì a identificarla, e quindi sparì, e anche lei si mise a ridere, una risata ariosa, spumeggiante, zucchero filato rosa in estate.

— Leisha, torna a casa. Ha avuto un altro attacco di cuore.

La voce di Susan Melling al telefono era stanca. Leisha chiese: — Quanto grave?

— I dottori non ne sono certi. Quanto meno sostengono di non esserlo. Ti vuole vedere. Puoi lasciare gli studi?

Era maggio, l’ultima volata verso gli esami finali. Le bozze del "Law Review" erano in ritardo. Richard aveva intrapreso un nuovo tipo di affari, consulente marino per i pescatori di Boston afflitti da improvvisi e inesplicabili spostamenti delle correnti oceaniche, e stava lavorando venti ore al giorno. — Verrò — rispose Leisha.

Chicago era più fredda di Boston. Gli alberi erano solo parzialmente gemmati. Sul lago Michigan, a riempire le immense finestre orientali della casa di suo padre, le creste bianche delle ondine sollevavano spruzzi gelidi. Leisha si accorse che Susan era tornata ad abitare nella casa: sul comò di Camden c’erano le sue spazzole, le sue riviste erano appoggiate sulla credenza nell’atrio.

— Leisha — disse Camden. Appariva vecchio. La pelle grigiastra, le guance incavate, lo sguardo frenetico e sconcertato di uomini che avevano considerato la potenza come aria, indivisibile dalle loro vite. Nell’angolo della stanza, su una poltroncina dell’Ottocento, stava seduta una donna robusta dai capelli scuri.

— Alice.

— Salve, Leisha.

— Alice. Ti ho cercata… — La cosa sbagliata da dire. Leisha aveva cercato ma senza un grande impegno, scoraggiata dalla consapevolezza che Alice non voleva essere trovata. — Come stai?

— Sto bene — rispose Alice. Sembrava distaccata, gentile, molto diversa dall’Alice infuriata di sei anni prima, nelle brulle colline della Pennsylvania. Camden si spostò dolorosamente sul letto. Guardò Leisha con occhi che, lei notò, non erano affatto offuscati nel loro limpido azzurro.

— Ho chiesto ad Alice di venire. E anche a Susan. Susan è arrivata qualche tempo fa. Sto morendo, Leisha,

Nessuno lo contraddisse. Leisha, conoscendo il rispetto dell’uomo per i fatti, rimase in silenzio. L’amore le bruciava in petto.

— John Jaworski ha il mio testamento. Non lo potete impugnare in alcun punto. Volevo dirvi personalmente, tuttavia, che cosa c’è scritto. Durante gli ultimi pochi anni ho venduto, liquidato. La maggior parte dei miei possedimenti è disponibile subito. Ho lasciato ad Alice un decimo, un decimo a Susan, un decimo a Elizabeth e il resto a te, Leisha, perché sei l’unica che possiede l’abilità individuale per utilizzare il denaro nel suo pieno potenziale per ottenere realizzazioni.

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