La rivincita dei mendicanti - Страница 95
Né quando.
La rabbia fredda e nera restò dentro. La rabbia non derivava dall’impossibilità di produrre una cura: non era impossibile. La rabbia non derivava dal fatto che qualcuno aveva creato quel neurofarmaco crudele e pericoloso, sconosciuto in natura: per quattromila anni gli uomini avevano creato veleni sconosciuti in natura per annullarsi a vicenda. La rabbia non derivava nemmeno dal fatto che la Kelvin-Castner aveva anteposto i propri profitti al bene pubblico, finché le due cose non avevano coinciso: le industrie funzionavano così.
Durante il ventunesimo giorno, mentre Jackson stava lasciando la K-C per un breve viaggio per andare a trovare Theresa, Thurmond Rogers lo bloccò appena prima del portello di sicurezza che immetteva nella parte non bioschermata dell’edificio. Thurmond Rogers in persona, non con un ologramma o una linea di comunicazione. — Jackson.
— Penso che non abbiamo niente da dirci, Rogers. O fai il messaggero per Cazie?
— No — disse Rogers e, notando il suo tono, Jackson lo osservò più attentamente. La pelle di Rogers, modificata geneticamente perché risultasse appena abbronzata per contrastare con i riccioli biondi, appariva chiazzata e scialba. Le pupille degli occhi turchesi erano dilatate, perfino nella luce solare simulata del corridoio.
— Che c’è? — chiese Jackson, ma lo sapeva già.
— È passato alla trasmissione diretta.
— Dove?
— Enclave North Shore di Chicago.
Nemmeno fra i Vivi. Qualcuno era uscito dalla North Shore, oppure qualcuno vi era entrato, e aveva trasmesso il neurofarmaco via sangue, sperma, urina, saliva, allattamento. Era in una forma non aerea.
Chiese bruscamente a Rogers: — Comportamento della vittima?
— Stessa grave inibizione. Ansia da panico per le nuove azioni.
— Modelli medici?
— Corrispondono agli effetti conosciuti. Fluido cerebrospinale, scansioni cerebrali, battito cardiaco, attività delle amigdale, livelli ormonali del sangue…
— Va bene — fece Jackson intendendo il contrario, dato che non andava bene per niente. Poi capì perché era così infuriato.
— È sempre lo stesso — disse Jackson a Vicki. Sedevano uno di fianco all’altra nella sua aeromobile, in decollo da Boston. In quel mese i Giardini Pubblici sotto di loro erano carichi di fiori gialli: narcisi, giunchi, rose e viole del pensiero in una artistica confusione modificata geneticamente. La cupola della State House scintillava dorata nel tardo sole pomeridiano e, oltre la cupola, l’oceano aleggiava grigioverde. Dopo un mese passato davanti ai terminali, le dita di Jackson parevano goffe sulla consolle del veicolo. Inserì il pilota automatico e fletté le spalle contro lo schienale del sedile. Era stanchissimo.
— Cosa è sempre lo stesso? — chiese Vicki.
— Le persone. Continuano a fare sempre la stessa cosa anche se non funziona.
— A quali persone specifiche ti riferisci? — Vicki appoggiò una mano sulla coscia di Jackson. Lui là coprì con la propria e pensò immediatamente: "Dove sono i monitor?". Ventun giorni a trattenersi, consapevoli del fatto di essere osservati. Ma non c’erano monitor nell’aeromobile. O forse sì? Il veicolo era stato parcheggiato per tre settimane sotto la cupola della Kelvin-Castner. Ovvio che ci fossero dei monitor. E comunque lui era troppo stanco per un rapporto sessuale.
— Tutte le persone — rispose lui. — Tutti. Continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, anche se non funziona. Jennifer Sharifi ha continuato a tenere sotto controllo tutto quello che poteva minacciare il Rifugio. Miranda Sharifi ha continuato ad affidarsi al miglioramento della tecnologia per sollevare noi poveri mendicanti ottenebrati, costretti a dormire. La Kelvin-Castner continua a seguire i profitti, indifferente a dove conducano. Lizzie continua a trafugare dati da tutti i sistemi che si trova davanti. Cazie… — si interruppe.
— …continua a recitare per un eventuale pubblico che soddisfi la sua sete di applausi — proseguì Vicki, più acidamente. — E tu? Tu che cosa continui a fare, Jackson?
Lui restò in silenzio.
— Non avevi pensato di applicare la tua teoria anche a te stesso? Be’, allora lo farò io. Jackson continua a presumere che il modello medico possa spiegare tutto sulle persone: stila la biochimica e capirai la persona.
Lui le lanciò un’occhiata in tralice. La donna aveva gli occhi chiusi: Jackson si rammaricò di non poterne vedere il viola purissimo. Lei aveva tirato via le dita calde dalle sue. — Mi sembri Theresa — disse lui.
— Theresa — fece Vicki senza aprire gli occhi. — Sta imparando a fare qualcosa di diverso. Molto diverso.
— È solo un controllo di biofeedback della chimica cerebrale…
— Sei pazzo, Jackson — commentò Vicki. — Non so come faccio a essere innamorata di un uomo così pazzo. Guarda Theresa quando scoprirà che il neurofarmaco inibitorio è trasmissibile. Guardala e basta. A proposito: veicolo, atterra laggiù, nella prima radura a ore due.
I fiori nella radura non erano modificati geneticamente. L’erba era dura e profumava di mentuccia. L’aria era un po’ troppo fredda, almeno per dei corpi nudi. Però Jackson scoprì di non essere poi stanco come pensava.
Dopo, Vicki lo abbracciò, il suo lungo corpo stampato nell’erba e nella vegetazione, che profumava di menta schiacciata. Lui l’accarezzò, aveva la pelle d’oca. Contro la spalla, sentì le labbra di lei incurvarsi in un sorriso.
— Soltanto biochimica, Jackson?
Scoppiò a ridere: stava troppo bene per seccarsi. — Non cedi mai, eh?
— Se lo facessi non ti piacerei. Soltanto biochimica?
Lui le avvolse attorno un braccio. Dovevano tornare all’aeromobile: quel campo irregolare era terreno duro. Ed esposto. Era ricoperto anche di insetti che pungevano. E poi lui doveva vedere Theresa, tornare alla Kelvin-Castner, intraprendere la battaglia legale perché la K-C condividesse i dati con la CDC visto che il neurofarmaco si era trasformato da atto di terrorismo casuale a motivo di crisi per la salute pubblica.
La voce di Vicki fu improvvisamente incerta, quella qualità inaspettata che si presentava nei momenti più inaspettati. — Jackson? Biochimica?
Lui la strinse più forte. — Non biochimica. Amore.
E quella era, e allo stesso tempo non era, la verità. Come tutto il resto.
EPILOGO
Novembre 2128
Tutti gli stranieri e i mendicanti sono inviati da Zeus e un dono, per quanto piccolo, è prezioso.
Jackson aspettava dietro l’orribile struttura di un edificio distrutto, tenendo l’equipaggiamento in ombra. Solita procedura. L’edificio era di cemespugna, perciò non poteva bruciare, ma gli avevano fatto di tutto: era stato colpito, ammaccato, depredato, perfino bombardato. Distruzioni antiche cominciavano a essere ricoperte dal cudù modificato che ammantava il resto di St. Louis, forse il luogo più orribile in cui Jackson fosse mai stato.
Negli ultimi sette anni, era stato in moltissimi posti orribili.
Theresa e Dirk si erano preparati e avevano iniziato l’avvicinamento. Dirk, otto anni e ancora nuovo alla preparazione, si stringeva forte alla mano della madre. Lizzie, ovviamente, non aveva bisogno di prepararsi: non aveva mai contratto il virus inibitorio. Tuttavia guidava Dirk che, nel corso dell’ultimo anno, aveva fatto progressi enormi nel fingersi un’altra persona: la chiamava "Treeboy". Dirk aveva imparato a prepararsi con l’adattabilità tipica dei giovani, ancora presente sotto l’inibizione impaurita stimolata artificialmente nelle sue amigdale. "Treeboy", creato per immaginazione ma neurochimicamente reale, era più ardito e più libero di Dirk. Jackson aveva le scansioni cerebrali che lo dimostravano.
Theresa faceva strada. Theresa, la più lacera dei tre patetici straccioni. Theresa, i cui capelli chiari ricresciuti dalla calvizie erano i più sporchi di quelli dei tre. Theresa, con le mani più vuote, per la quale era più difficile che per chiunque altro.